venerdì 31 ottobre 2014

L'Italia Spagnola nei secoli XVI-XVII: Sviluppo del governo della monarchia ispanica in Italia (I)

La vittoria della Casa d’Asburgo nelle Guerre Italiane (1494-1559) aprì un periodo di pace e sicurezza in Italia. Le Guerre Italiane furono una serie di otto conflitti combattuti sul suolo italiano e come obiettivo finale aveva la supremazia in Europa. Al termine della guerra, la Spagna si affermò come la principale potenza continentale, avendo sotto la sua dominazione gran parte della penisola italiana (gli unici Stati Italiani in avere una certa autonomia furono la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Savoia.

Carlo I visita a Francesco I dopo la Battaglia di Pavia
-Richard Parkes Bonington-
Nel passato, furono molti gli storici che vedevano quel periodo come un tempo scuro che era successo la brillantezza del Rinascimento. Dispotismo, Controriforma e intolleranza sostituirono la libertà, riformismo e tolleranza, per colpa della dominazione spagnola.

Certo che questa interpretazione è adesso in revisione da una nuova generazione di storici. Il dominio spagnolo sarebbe un domino duale tra le Corti Spagnole e le Corti Italiane.

La vittoria della Casa d’Asburgo fu anche la fine di una epoca turbolenta, dove l’insicurezza e la violenza furono sostituite dalla stabilità ed una lunga pace. Ma tutto questo non si traduceva per l’Italia in una crescita economica e culturale almeno come quella che aveva caratterizzato il Rinascimento. Per quello, gli studiosi della storia italiana non prestano molta attenzione alla dominazione spagnola e al Barocco. Esiste l’abitudine di rappresentare quel periodo come uno spazio vuoto, dove escono solo alcuni personaggi bravi come Bruno, Campanella o Galileo. Un esempio chiaro può essere Harry Hearder che a difendere la sua opera “Breve storia d’Italia” aveva affermato:

“Quelli specialisti che hanno manifestato recentemente le lagnanze per la poca attenzione che hanno avuto i periodi spagnoli e barocco mi accuseranno di contribuire alla prolunga dello scompenso che adesso ha un carattere tradizionale (...). Le interpretazioni tradizionali non sono sempre sbagliate.” 

Anche lui afferma che non ha prestato molta attenzione all'Età Moderna e nessuna alla dominazione spagnola perché non c’è niente da raccontare su questo periodo, non succede niente (quest’idea essendo molto diffusa soprattutto nel pensiero anglosassone).

All’ora di comprendere i secoli XVI e XVII, in linee generale si vedeva come un periodo declivio se si paragona con il secolo XV:
   
Secolo XV
Libertà Politica
Riforma e Rinnovazione
Libertà di pensiero, umanismo
Pensiero scientifico
Sviluppo del Capitalismo

Secoli XVI-XVII 
Dominazione straniera 
Controriforma e conservatorismo 
Censura, neoscholasticism, intransigenza. 
Teologia 
Rifedualizzazione

La storiografia ci mostra un panorama bruttissimo di un periodo luminoso che è seguito da una nuova “Età del ferro”, siccome il Sacco di Roma nell’anno 1527 è un punto di non ritorno per le truppe dei lanzichenecchi dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo e I di Spagna. Il Sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio della città. Così è stato raccontato da Francesco Guicciardini nella sua opera “Storia d’Italia”:

“ Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose più vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.”

Dopo il 1527, la direzione è seguita dalla crescente tutela politica e militare spagnola, che esigeva una assoluta sottomissione in tutte i sensi. Molti pensano che se la Francia avesse vinto la guerra, gli italiani avrebbero avuto prima o poi la libertà, perché la Francia era una nazione moderna, ma quella che aveva preso come sua il suolo italiano era lungi dallo spirito del Rinascimento e aveva imposto, insieme al suo dominio, un’ideologia antimoderna.

Debolezza morale, l’indietreggiamento economico, la corruzione dell’abitudine, fanatismo... furono elementi che la letteratura e la storiografia del Risorgimento avevano oscurate facendo così brillare la nuova Italia Unita. Possiamo apprezzare un esempio nell'opera “Ai giovani d’Italia” da Giuseppe Mazzini, patriota, politico e filosofo italiano nato nella Repubblica Ligure annessa al Primo Impero Francese, il quale raccontava così l’incoronazione di Carlo V a Bologna:

“E i primi che firmarono questo patto abominevole furono un imperatore di quella maledetta casa in Europa, che gli uomini chiamano d’Austria, e uno di quelli vicarii del genio del male di cui abbiamo appena parlato (Papa Clemente Vil). E lo avevano firmato sopra il cadavere di una delle più generose delle nostre città, l’ultima che aveva conservato in Italia la fiamma della vita libera”.

Più terribile che la visione negativa fu la caratterizzazione di abulia e apatia assegnata in quel periodo. Da loro nacque il distacco, soprattutto nel Mezzogiorno, che dopo l’unificazione correva il pericolo di essere uno spazio spogliato della sua personalità storica, diventando uno scenario secondario e passivo.

Ma, per essere più vicino alla verità, dobbiamo dire che non tutti gli storici si erano dimenticati del sud. Già, negli anni’30 del XX secolo, storici come Benedetto Croce avevano reintrodotto il sud nel primo piano della Storia italiana. Le sue idee sono rimaste vive fino al rinnovo straordinario degli anni’80, e da quel tempo, tanto l’idea di decadenza, quanto la percezione negativa dell’egemonia spagnola si sono modificate sensibilmente: Innanzitutto perché il più significativo di quel periodo non è così la sottomissione politica dell’Italia come lo sviluppo del principio monarchico e la Corte come asse della vita politica sociale (dove gli spagnoli sono stati più apprendisti che maestri), perché l’Italia esercitò una supremazia culturale incontestabile, in modo tale che la produzione interculturale, culturale o artistica sia stata assorbita dalle dominanti. Per finire questa prima parte, possiamo dire che Madrid non poté mai sostituirsi a Roma come testa politica della Penisola Italiana.

sabato 28 dicembre 2013

L'Italia Spagnola nei secoli XVI-XVII: I motivi dell'espansione

L'argomento che a continuazione affrontiamo e svilupperemo ha come obiettivo di analizzare e conoscere la presenza della Corona spagnola in Italia nei XVI-XVII secoli, concretamente nel Regno di Napoli e Sicilia ed nel Ducato di Milano.

I successi accaduti nel periodo che sviluppiamo sono i risultati di una politica iniziata qualche secolo fa. L'espansione per il Mediterraneo della Corona d'Aragona non fu fatta da sola con azioni belliche, sempre molto care a livello economico quanto politico-sociale, anche con patti matrimoniali dinastici, eredità, alleanze...

Le cause che fanno all'Aragona espandersi al levante sono di natura economica, come per esempio la necessità di nuovi percorsi e mercati; politici, come modo per scappare dalla pressione tra nobiltà e potere reale... Non dobbiamo dimenticare i propri interessi della Corona, che aumenta così il suo patrimonio, come la sua azienda attraverso le imposte derivati dal commercio.

Stemma della Corona d'Aragona e Sicilia
Le conseguenze sono anche molto diverse. Da un lato si producono cambi nella Corona d'Aragona in quanto alla sua morfologia, perché grazie alle imprese mediterranee il regno amplifica le sue frontiere. Da un altro lato, il commercio si beneficia anche di questo processo: si creano nuovi percorsi commerciali e quelli che esistevano diventarono più sicuri. Questo svolgo commerciale propiziò lo sviluppo finanziario con la creazione della banca, per molte nelle mani delle grandi famiglie come quella dei Peruzzi; la cambiale come istrumento di pagamento... Una conseguenza molto importante è l'aumento della pressione fiscale, la quale sempre più incide negli strati meno benestanti della società. Quest'incremento è dovuto alle costose imprese militari di conquista e avranno le ripercussione che analizzeremo in prossimi post.

domenica 23 settembre 2012

LA VERITÀ SUL NAZIONALISMO CATALANO

     Molte, anzi moltissime sono le bugie, che a proposito del nazionalismo catalano, vengono alimentate dai partiti indipendentisti. Il peggio di tutto è che tali cose che vedremo qui di seguito, vengono studiate nelle scuole catalane perché in Spagna l'educazione non è controllata dallo Stato centrale, ma dai governi regionali. 


             - La Corona Catalano-Aragonese:

          Non è mai esistita tale Corona, è sempre stata chiamata Regno d'Aragona. Il Conte di Barcellona, Ramón Berenguer IV che si era sposato con la regina aragonese Petronila, non ha mai avuto il titolo di Re di Catalogna e Aragona. Oltretutto, lui s'era riconosciuto vassallo dal imperatore toledano Alfonso VII (suo cognato) che si fregiava del titolo di Hyspaniae Imperator.


- Mappa della Corona Aragonese -

             - La “Señera” o “Senyera” non è una catalana:

       Quello che Antoni Rovira i Virgili (quarto presidente del Parlamento Catalano) disse "La Unió catalano-aragonesa adoptà l'enseya catalana de les quatre barres vermelles." è falso. L'origine della bandiera è aragonese e rappresentava alla Casa Reale dell'Aragona. Il primo re aragonese che l'ha usata fu Alfonso II. Tutti gli autori catalani del medioevo, tra i quali Muntaner, chiamavano la bandiera “cuatribarrada, la Senyal Real d'Aragó”. Non hanno detto mai che fosse “l'escut de Catalunya” come dicono adesso i nazionalisti.

     Parlare di bandiere o re catalani non ha nessun senso. Mai c'è stato un re catalano, né nessun Stato catalano. Gli unici re di cui si può parlare sono quelli d'Aragona. La Casa di Barcellona (che non rappresenta l'attuale Catalogna, la quale era formata da più contee) appartenne unicamente al Regno d’Aragona.

     Inoltre, nella “Señera” si trova l'origine della bandiera nazionale della Spagna. La bandiera della Marina Reale nei tempi di Carlos II era ancora bianca. Fu cambiata perché quella non si vedeva bene in alto mare. Si pensò a quella del Regno dell'Aragona, ma neanche si vedeva bene perché le strisce erano troppo strette, così, a imitazione di questa s'allargarono le strisce, essendo quelle gialle il doppio di quelle rosse.


- Prima bandiera spagnola scelta da Carlos II con i colori della "Señera" -

          - La “Diada” di Catalogna, come simbolo della resistenza nazionale contro l'imperialismo castigliano. :

     Secondo il nazionalismo catalano “il centralismo e lo spirito colonizzatore di Castiglia verso la Catalogna fu intensificato fino a quando, nel 1714, durante la Guerra di Successione, la Castiglia e la Francia sconfissero la Catalogna, l'Inghilterra e l'Austria”. Non c’è niente di più falso.

       In realtà, il 11 settembre di 1714, quello che accadde fu l'ingresso delle truppe di Felipe V a Barcellona, che stava sotto il dominio francese. All’assedio di Barcellona parteciparono migliaia di catalani che facevano parte dell'esercito dei Borbone. Altre migliaia di catalani assediati in Barcellona, lottarono per quella che ritenevano la legittima dinastia spagnola e per la libertà di tutta la Spagna, cioè per il Arciduca Carlos.


- Arciduca Carlos -
      Ma non solo questo. Un secolo dopo, nella Guerra dei Pirenei, i catalani parteciparono con entusiasmo nella difesa della loro religione, del Re e della Patria contro i rivoluzionari francesi. Infatti, si può leggere nel Diario di Barcellona dal Primo Ottobre 1792, un sonetto catalano che celebra la presa della località del Rossiglione di Bellaguarda:

" Vallesir, Rosseló, la França entera
del valor espanyol lo excés admira:
Ya espera resistir, ya desespera:
ya brama contra el Cel, però delira:
que lo cel es qui vol que torne a Espanya
lo Rosselló, Navarra y la Cerdenya".


                -  Catalogna storicamente è sempre stata contro la Spagna:

      Con l'invasione napoleonica nel 1808, i catalani si alzarono eroicamente contro i francesi e lottarono a morte per la libertà della Spagna. Infatti, l'eroica difenditrice di Saragozza, Agustina d'Aragona, fu barcellonese di genitori di Lerida e si chiamava, in realtà Agustina Raimunda Saragossa Doménech.


Agustina d'Aragona
- Francisco de Goya y Lucientes -  
     Tra l'altro, allo stesso modo che ci sono stati dei catalani che lottarono per tutta la Spagna, ci sono stati anche spagnoli di altre regioni che lottarono nelle terre catalane.

                 - Catalogna è una nazione storica:

     Tutto il contrario, il nazionalismo catalano ha la sua origine nella seconda metà del XIX secolo con l’apogeo industriale ed economico in Catalogna, ed anche con la crisi di 1898, legata alla perdita di Cuba e delle Filippine.

     Ecco cosa aveva detto Joan Estelrich, deputato della “Lliga Regionalista”, il partito di Prat de la Riba e di Cambó alle Cortes nel 1931: 

“Quello che noi vogliamo è che tutti gli spagnoli si abituino a smetterla di considerare il catalano come ostile; che lo considerino autenticamente spagnolo; che si sappia per sempre e che si accetti che la maniera che abbiamo di essere spagnoli è rimanendo catalani (…) che non ci spagnolizziamo nemmeno un punto se rimaniamo catalani; in ogni caso, la garanzia d'essere noi molto spagnoli è essere molto catalani. Perché il contrario è andare contro natura e per questo la gente deve abituarsi a considerare quel fenomeno del catalanismo non come un fenomeno antispagnolo, ma piuttosto come un fenomeno eminentemente spagnolo”.


- Joan Estelrich -



sabato 15 settembre 2012

LO SAPEVI CHE...?


Nel 1946, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Spagna era l'unico Stato fascista rimanente in Europa.
Proposto dalla delegazione belga, l'ONU approvò per 26 voti favorevoli e 6 contro l'isolamento della Spagna. I 6 Paesi che votarono contro furono: l'Argentina, la Costa Rica, la Repubblica Dominicana, l'Ecuador, Il Salvador ed il Perù.



domenica 9 settembre 2012

PRIMA REPUBBLICA SPAGNOLA (I)


Proclamazione della Prima Repubblica nella Puerta del Sol
- Joaquín Sigüenza (1873) -

                   Proclamata dalle Cortes giorno 11 febbraio 1873, fu il primo tentativo di governo repubblicano nella Storia della Spagna. 

            Durante questo primo periodo repubblicano, il Paese fu governato in successione da quattro presidenti, fin quando  non avvenne il colpo di stato del generale Pavía e s’instaurò, in seguito, una repubblica unitaria dominata dal Duca de la Torre (questo periodo fu marcato da tre guerre civili: III Guerra Carlista, Insurrezione Cantonal e la Guerra dei Dieci Anni in Cuba).
           
            In realtà non esisté una rottura tra la proclamazione della I Repubblica ed il Sessennio Democratico, in effetti la classe politica era in essenza la stessa.
           
            La Repubblica nacque senza l'appoggio politico sufficiente. A peggiorare le cose, si aggiungeva il fatto che il clima internazionale non era molto propizio: la Repubblica, infatti, fu riconosciuta solamente dalla Svizzera e dagli USA (entrambi Paesi repubblicani federali). La Francia repubblicana, contraria a qualsiasi decentralizzazione, non la riconobbe. Il Regno Unito temeva, dal canto suo, che la condizione federale potesse propiziare un tentativo d'unificazione iberica tra la Spagna ed il Portogallo.
           
- Bandiera della Prima Repubblica Spagnola - 

            Il nuovo governo fu presieduto da Estanislao Figueras, un repubblicano antifederalista. Figure rilevanti del suo governo erano: Emilio Castelar, Francisco Pi i Margall e Nicolás Salmerón

            Alle elezioni tenute nel maggio 1873, la maggioranza dei federali fu schiacciante, avendo solo due voti contrari. Fin dai primi momenti scoppiarono rivolte sociali che ostacolarono l'impianto di nuove istituzioni; tra queste i movimenti agrari come quelli a Montilla, nella provincia di Cordova nel febbraio 1873 o il tentativo di proclamazione di uno Stato Catalano sono i più eminenti. Le proteste si rivolsero soprattutto a due motivi: l'esercito permanente e l'imposta di consumo. Su questi due aspetti dobbiamo risaltare a Pi i Margall.

            Nato nel 1824, le sue idee erano strettamente connesse a quelle del francese Proudhon, essendo i suoi due principali nuclei concettuali quello della solidarietà umana e quello del contratto libero. Pi i Margall fu sempre un collaboratore molto stretto dell'associazionismo operaio. Arrivato alla presidenza del governo nel mese di giugno, doveva ottenere come primo passo l'approvazione di una costituzione. Il testo elaborato in fretta constava di 17 titoli e 177 articoli e partiva da un’ampia dichiarazione dei diritti; tuttavia lo Stato non venne dichiarato aconfessionale .

- Francisco Pi i Margall -
            Il contenuto più originale del testo costituzionale era l'organizzazione federale. La Spagna era organizzata in 17 Stati, uno dei quali avrebbe dovuto essere Cuba per risolvere il problema coloniale. Ognuno aveva la propria costituzione ed il presidente della Repubblica gli avrebbe corrisposto un quarto potere, chiamato “Il Potere di Relazione” per mantenere l'equilibrio. Questo sarebbe per esempio: nominare gli ambasciatori, i ministri ed gli agenti diplomatici, sostenere le relazioni internazionali, custodire le costituzioni di tutti gli Stati che appartengono alla Repubblica, concedere le amnistie, ecc.

            Intanto si cercava di mettere in moto la Repubblica federale dall’alto, cioè seguendo le decisioni del potere politico. Sorgeva contemporaneamente pure il Movimento Cantonal che costituì più o meno la conversione della Repubblica federale dal basso. Per molti dei federalisti eletti, la formazione dei poteri locali forti ed autonomi (i “cantones”) non costituiva solo il mezzo per compensare lo spirito centralizzatore ma anche la conseguenza della proclamazione di un nuovo regime.

            In un arco dal Levante all'Andalusia sorsero una fioritura di poteri politici autonomi che non riconoscevano il potere centrale. I protagonisti di questa sollevazione furono studenti, intellettuali e politici provinciali, nonché artigiani e bottegai...

            Tuttavia, molto frequentemente i limiti tra il federalismo intransigente ed il movimento operaio erano alquanto labili. Infatti l’apparato concettuale anarchico diffuso tra i membri dell'Internazionale, aveva molti punti in comune col federalismo; tra questi per esempio Pi i Margall affermava che voleva una società senza potere politico. Ma dobbiamo precisare che l'internazionalismo fu presente solo in alcune località della sollevazione cantonal come ad Alcoy e Sanlúcar de Barrameda.         

venerdì 28 ottobre 2011

FRANCO E HITLER SI TROVANO A HENDAYE

Il 23 ottobre 1940, Adolf Hitler arriva alla stazione di Hendaye incontra Franco, dopo aver conquistato in poco più di un anno la Polonia, il Belgio, i Paesi Bassi, la Danimarca, il Lussemburgo e aver piegato la Francia. 

          
La carrozza su cui viaggiava Franco, la Break, è in ritardo e questo fa arrabbiare Franco. Sul treno, inoltre al Caudillo, viaggiavano Ramón Serrano Suñer, cognato di Franco ed uomo forte nel governo (nominato tre giorni prima come Ministro degli Esteri), il barone de las Torres (capo di protocollo del Ministero  in qualità di traduttore), Enrique Giménez Arnau (capo generale della stampa), il generale Espinosa de los Monteros (ambasciatore spagnolo a Berlino) e il generale José Moscardó (capo della casa militare del Caudillo).
      
Comunque, quando la locomotiva spagnola arriva alla stazione con 8 minuti di ritardo. La stazione è adornata con bandiere della Spagna e della Germania e tre compagnie tedesche suonano  marce militari. Franco e Hitler si trovano alla fine faccia a faccia. Per il tedesco c'era la speranza di coinvolgere finalmente la Spagna nella guerra e poter sviluppare i suoi piani nel Mediterraneo. Per lo spagnolo c’era l'opportunità di essere con i vincitori ed avere un impero in Africa.

Dopo i saluti nella porta della carrozza si decide che la riunione sarà sulla lussuosa carrozza-ristorante di Hitler con gli altri capi di Stato, i ministri degli esteri (Serrano Suñer e Von Ribbentrop) ma senza gli ambasciatori.


L'incontro ha inizio alle ore 15:40 e il primo a prendere la parola è il generale Franco per dire:

            “La Spagna ringrazia quello che la Germania ha fatto per il nostro Paese. La Spagna è sempre stata alleata con il popolo tedesco in spirito e lealtà e senza riserve. […] Nella guerra attuale, la Spagna lotterebbe volonterosamente al fianco della Germania. Ciò nonostante, le difficoltà che vanno sorpassate sono conosciute dal Führer”.

In quel momento, la Spagna ha bisogno di tutto e non riceve nulla per il blocco della Gran Bretagna. La politica di Churchill era di mantenere la Spagna fuori dalla guerra perché sapeva che se Franco si fosse messo dalla parte dei tedeschi, ciò avrebbe comportato l'occupazione di Gibilterra e la chiusura del Mediterraneo, impossibilitando le connessioni con le colonie.


Hitler assicura a Franco che la Gran Bretagna è già sconfitta e che non spera che l'entrata degli Stati Uniti o l'URSS faccia cambiare il segno della guerra. In realtà, il vero e unico motivo per voler l'entrata della Spagna nella guerra era la possibilità di fare propria la Rocca di Gibilterra. 


Alla fine, il Führer non si compromette con nessuno e assicura solo che la Spagna avrebbe un posto nel reparto dell'Africa. Dopo tutto ciò  il barone de las Torres ricorda che Hitler insiste dicendo che la Spagna deve scegliere, che non può rimanere dietro la realtà dei fatti che le sue truppe si trovano nei Pirenei.


Dopo questa minaccia, Franco è deluso e dice a Serrano Suñer: “È intollerabile questa gente, vogliono che entriamo nella Guerra in cambio di niente, non possiamo fidarci di loro se non hanno un compromesso formale”. Le conversazioni sembrano di essere finite quando gli spagnoli ricevono un invito dai tedeschi per cenare con il Führer. Dopo questo, i principali attori si ritrovano un'altra volta, ma non esce niente di nuovo.



Alle ore 00:00 gli spagnoli salgono sul treno a destinazione di San Sebastiano (San Sebastián in spagnolo). Prima di partire i due capi di Stato si salutano in modo affettuoso, sebbene sia notevole il disaccordo.